Da Calvisano a Rezzato in un ideale, breve, segmento da sud a nord si traccia il percorso di vita di ILARIO MUTTI, fermandosi a Brescia negli anni di studio al Foppa.
Una Brescianità quindi, sostanziata da quel sempre citato, e non ancora sufficientemente compreso, mondo contadino: emblema di solidità e scrigno di valori.
Scampolo di terra che regala al giovane Ilario maestri d'importanza quali Cottini e Zuppelli.
Se questa è la geografia anagrafica, ben più ampio è il respiro d'arte di questo affermato scultore che, di quando in quando, indugia pure nella grafica ma non per farne bozzetti, bensì per sperimentare altra forma d'espressione.
Credo che il mondo e la sua vita, somma delle vite di ciascuno, procedano per armonizzazione, ricomposizione degli opposti ed anche l'incontro con Mutti e la sua arte lo confermino.
Lui bonario, perfino fisicamente incline alla mitezza, colloquiale e le sue sculture invece prorompenti, forti, caratterialmente tanto decise da fuggire indulgenze di leziosità.
Di sé dice:- Tuffo le mani nella terra, mi scotto le dita con la cera...., perchè modella la cera prima della fusione in bronzo ed impasta creta per il cotto. Cera e terra per la plasticità, bronzo per il sempre, l'eternità sarebbe troppo.
E' meticoloso e quando la cera, prima della colata bronzea non è perfetta, ripete ed aggiusta perché i suoi pezzi devono essere unici: cavalli e donne, o meglio “il CAVALLO” e “la DONNA” perché l'intento riuscito è di giungere all'essenza.
Dell' ANIMALE Mutti celebra, come in un totem emblematico, la libertà, la fierezza, il movimento l'eleganza. I muscoli, possenti ma levigati, si manifestano come forze propulsive al balzo e t'aspetti davvero il miracolo della vitalità, grazie alla spinta degli arti posteriori, alla sicurezza di quelli anteriori...su alzati, via verso il cielo!
Criniere come acconciature, code come intrecci, anatomie classicheggianti fanno di queste opere una coesione tra entità mitologiche, eroiche e verità; coniugazione di tradizione e modernità.
Della DONNA Mutti è ammirato contemplatore. La rappresenta nella sua nudità, sempre con pudore e rispetto: la volgarità non appartiene né a lui né alla femminilità di cui vuol parlarci, tanto che la compostezza regna sovrana e restituisce alla sensualità il suo senso primigenio di strada per l'amore. Perfino l'amplesso è risolto nell'abbraccio ed i corpi si allacciano in una danza di comprensione intima, di compenetrazione prima d'anima e poi di materia.
Volti intensi e decisi, corpi eleganti che, ancora una volta, sembrano destinati al volteggio ed al volo perché Mutti vuole sculture in movimento, esseri vivi e non staticamente inanimati.
C'è memoria in ciò che il nostro artista scolpisce, memoria dei grandi maestri, memoria delle personali esperienze.
Non è questione di ricordo. Questo sarebbe solo ripetere nostalgicamente.
La memoria, invece, è processo di rielaborazione culturale, di assimilazione personale fino a giungere a quella sua calligrafia stilistica, unica dote in grado di garantire il sapore dell'arte.
Da qui si generano le figure di DONNACAVALLO. Non di metà donna e metà cavallo. Già visto nella fantasia dei miti. Mutti dilata la massa dell'una e dell'altro perché diventino un unicum a sé, il sogno dell'impossibile.
L'artista fin lì sa spingersi e portarci per mano nell'incredibile, affinché divenga creduto.
Sculture e testimonianze grafiche saranno ospiti per tutto il mese di Giugno ad Ome, o piuttosto al Borgo del maglio, dove appunto un maglio continua a lavorare il ferro.
Mutti porterà nelle capienti sale, dal 4 giugno, una ventina di sculture, tra bronzi e cotti, ed una decina di opere grafiche. Non poteva esserci miglior ambientazione: dal ferro lavorato dal maglio, alle fusioni in bronzo, quasi a suggellare un significativo collegamento fra due concetti che , etimologicamente, presentano la stessa radice: artigianato ed arte. Il primo esalta il “saper fare” con spirito creativo. La seconda è parente stretta della creazione che, in quanto tale, spetta a Dio.
Ma si concretizza solo “sapendo fare”.
Agostino Garda